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Il cancro prostatico è ad oggi al secondo posto tra le patologie tumorali più diagnosticate tra la popolazione di genere maschile nel mondo. In Italia è la neoplasia più frequente tra gli uomini over 50.
Dati destinati, probabilmente, ad aumentare, considerando fattori importanti come il progressivo invecchiamento della popolazione.
Di conseguenza, ad aumentare sono anche i costi: se il volume di spesa dovuto al cancro prostatico era di quasi 17 miliardi di dollari nel 2018, entro il 2023 raggiungerà la soglia dei 26 miliardi (fonte: Europe Prostate Cancer Epidemiology and Patient Flow Analysis – 2018).
Per sovvertire questo trend, è necessario intervenire sui processi di diagnosi e cura, superando i limiti accertati nei protocolli attuali e continuando nella ricerca di nuove soluzioni.
In particolare, in ambito diagnostico è stata dimostrata la bassa sensibilità e specificità della Colina, usata come tracciante per la PET/CT una volta accertata la presenza del tumore nel paziente.
In ambito terapeutico, invece, viene richiamata l’attenzione sugli effetti collaterali della terapia di deprivazione androginica (ADT), la più utilizzata, attualmente, in pazienti con tumore metastatico: effetti impattanti su apparato scheletrico, cardiocircolatorio e sessuale, oltre a limitazioni funzionali e metaboliche.
Un altro fattore da non sottovalutare è la resistenza della malattia al trattamento terapeutico, che si rivela così inefficace per alcuni pazienti, che necessitano di soluzioni più adatte.